sabato 20 aprile 2013

Interpretazione personale del “paragone della Caverna” (di Platone)



Il racconto originale è una metafora inventata da Platone per spiegare l’impossibilità di comprendere il proprio piano esistenziale e quelli superiori se non salendo a piani superiori.
Altri hanno ripreso tale concetto sovvertendone le dinamiche, ad esempio poichè comprendere uno stato dimensionale superiore, esistendo in un piano inferiore non è possibile, si deve scendere ad un livello più basso del proprio per comprendere il proprio, infatti solo evidenziando le difficoltà di comprensione di qualcosa di cui si è già pienamente consapevoli si possono intuire pur senza comprenderle le realtà cui non si può aver accesso.
Platone diceva, immagina degli esseri che stanno incatenati dalla nascita in una caverna e rivolti verso una parete, senza la possibilità di muoversi, con alle loro spalle l’uscita.
Cosa possono comprendere di loro stessi e del mondo che li circonda ?
Vedendo solo l’ombra di se stessi impressa dalla luce esterna sulla parete della caverna immaginano di essere delle ombre sul muro, sentono voci e capiscono di non essere soli, ma ci sono solo altre ombre sul muro.
Ecco questo è il loro piano esistenziale e non hanno alcun modo di capirne di superiori.
Solo se uno di essi viene liberato e portato all’esterno può comprendere ciò che stà oltre quel piano, solo in questo modo può superare le barriere mentali.
Molto più recentemente questo racconto è stato utilizzato per descrivere la coscienza di classe, ossia la capacità di comprendere il proprio stato sociale da parte dei lavoratori.
Un lavoratore doveva essere quindi indottrinato per dargli coscienza del suo stato in quanto fino ad allora non si sarebbe mai liberato dai soprusi dei suoi padroni.
Solo dopo la presa di coscienza avrebbe potuto diventare libero di scegliere se continuare a farsi sfruttare oppure reagire.
Per quanto mi riguarda il “Paragone” l’ho ripreso scrivendo i seguenti versi.


                                                                Dentro alla caverna

Dentro alla caverna guardi intorno,
verso il buio con le pupille dilatate.
E la luce alle tue spalle esalta la tua figura,
non sei solo su quelle pareti.

Ti accompagnano altre ombre,
ma quando cerchi di toccarle,
ti accorgi della loro immaterialità.

Tutti insieme a seguire il disegno,
ognuno nella propria bolla di sapone,

Tutti sicuri della propria verità,
rinchiusa in una grande e personale bugia.

Sulle pareti non scende la lacrima
che senti uscire dai tuoi occhi.

È questo forse il motivo per cui,
non ti preoccupi di rivolgerli verso la luce.
Dimensioni superiori


In epoca moderna lo stesso paragone è stato rivisto rovesciando la logica, in un metodo più semplice da perseguire.


Siccome innalzarsi verso un piano superiore necessità di un aiuto superiore esterno a noi stessi.

Come potrebbe infatti il personaggio incatenato a liberarsi dalle catene, ma soprattutto di poterlo e doverlo fare ? come potrebbero i lavoratori auto-istruirsi per comprendere il loro stato sociale ?

Solo con qualcuno più evoluto di loro.

Allora si può invece scendere ad un livello più basso e comprendere da laggiù ciò che succede più in alto, in quanto già ci lo si è compreso.
Un grande filosofo della realtà ha espresso il seguente concetto per dare consistenza a questa logica.

Per dare ad un essere tridimensionale la possibiltà di intuire, o immaginare (pur non potendo comprendere realmente) una quarta dimensione bisogna partire da dimensioni inferiori.

Immaginiamo geometricamente quindi, un essere bidimensionale, “un quadrato consapevole di se”, che viva su un piano di spessore uguale a zero.

Immaginiamo inoltre che un essere tridimensionale “una sfera” altrettanto consapevole che sorvoli lo spazio esistenziale del quadrato.

In questa situazione il quadrato non potrebbe vedere nulla della sfera.

Nel momento in cui la sfera scendendo, attraversasse il piano del quadrato, quest’ultimo vedrebbe apparire dal nulla un punto, che via via diventerebbe ai suo occhi una linea sempre più larga fino a ritirarsi in un altro punto scomparendo infine nel nulla.

Cosa penserebbe il quadrato non avendo mai visto un simile effetto ?

Immaginerebbe di aver avuto la visione di qualcosa di inspiegabile e del tutto fuori dalla sua comprensione.

Allo stesso modo si può immaginare che la sfera dall’alto avrebbe una visione degli esseri bidimensionali molto più ampia di loro stessi, in quanto vedrebbe non solo i loro confini ma anche il loro interno, dentro e fuori contemporaneamente.

Così utilizzando questa logica, possiamo intuire o meglio immaginare cosa un essere quadrimensionale potrebbe percepire di noi esseri tridimensionali, esterno ed interno contemporaneamente, è solo un esempio immaginario ma dà l’idea di ciò si intende per visione superiore.

Inoltre se ci pensiamo bene noi esseri umani abbiamo la capacità di vedere con gli occhi della mente ad esempio nello stesso tempo la nostra casa dall’esterno e dall’interno, questo potrebbe significare che il nostro cervello abbia la capacità di vedere dimensioni superiori, oggi magari è troppo presto ma forse in futuro potremo andare oltre e comprendere moto di più sulla questione.

Pensieri stonati

pensieriStonati

Questa prima parte è un pensiero che non ho formulato nei termini in cui è stato scritto ma lo sento mio poiché lo sostengo ogni giorno nel mio comportamento o almeno così credo e mi ha dato spunto per scrivere quel che segue nella seconda parte .

Quando avremo raggiunto una buona integrazione delle nostra personalità, quando le emozioni non ci manderanno più in tilt, ma sapremo come canalizzarle a seconda delle circostanze, quando sapremo non farci più condizionare dalle opinioni altrui, ma useremo attivamente e autonomamente la facoltà del pensiero e del giudizio critico, quando sapremo rispettare le esigenze del nostro organismo e saremo attenti ai suoi messaggi, senza più dover delegare la nostra salute ad altri, quando conosceremo a fondo il meccanismo dell'intuizione e potremo avvalerci di uno strumento in più ogni qualvolta saremo di fronte ad una scelta, quando avremo avuto il coraggio di guardare in faccia anche ciò che di noi stessi non ci piace o non accettiamo e non avremo più bisogno di buttare addosso ad altri il peso di errori o limiti che sono essenzialmente nostri, quando sapremo cogliere ogni situazione nella sua unicità e nel suo divenire, imparando ad intervenire nel modo più congruente ed efficace, e quando sapremo cogliere nel mistero di un fiore che sboccia il richiamo di leggi forse più grandi di noi, e manterremo il nostro spirito aperto e disposto ad accogliere realtà e conoscenze sempre nuove... ecco che allora avremo raggiunto la meta propria dell'Homo Sapiens, e potremo finalmente cominciare a vivere bene. Non sarà che l'inizio.

Ma chi sono io realmente? Qual' è quell'Io che sarebbe venuto fuori - e che ancora può venire fuori - se io facessi veramente attenzione a tutto ciò che si muove dentro di me? Se io osassi dare voce e spazio a quelle parti ancora nascoste? Qual' è quell'io che si cela dietro potenzialità ancora inespresse o addirittura sconosciute, dietro sogni mai presi sul serio, desideri mai ammessi o ideali non seguiti? Quanto ancora potrei dare a me stesso, e potrei dare agli altri e alla vita se diventassi capace di sviluppare appieno ciò che posso essere?

Quello che segue è frutta del mio sacco ed è scritto al femminile perchè non rivolto direttamente ad un essere umano ma ad una mente in generale …

Chissà se capirai pienamente ciò che cerco di esprimere in questo mio sfogo di pensieri, “a volte è difficile anche per me”, altre volte penso di essere un pò matto, ma ora che ho trovato un’altra mente aperta, cosa molto difficile in questo mare di consuetudini, di convenzioni ed in particolare di falsità, ebbene ora cerco di non farmela scappare, cerco di darle qualcosa di mio costringendola così a farmi regalare qualcosa di cui Lei è in possesso e che mi possa far maturare ulteriormente, nel viaggio infinito della vita.

Sai, ciò che ti chiedo è un semplice sforzo nel cercare di mettere ordine nelle mie parole cosicché ciò che con molta fatica cerco di esprimere ti si possa chiarire in un immagine che ti renda l’ idea di ciò che sono o meglio ciò che tento di essere, mettimi a fuoco.

Forse questo sforzo ti sembrerà inutile, perché credi di conoscermi già e magari anche molto bene, ma occhio, ogni giorno, se stai attenta a ciò che ti circonda, ti accorgi che tutto si trasforma e con esso il tuo modo di pensare, ed in quel preciso istante scopri un pò di te stessa, quella parte che ancora non avevi neppure intravisto, quella parte che ti fa sentire diversa da prima, dagli altri, quella parte ti rende speciale, perché è proprio la capacità di modificare il proprio modo di pensare che ci dà la possibilità di avere un pensiero almeno in parte nostro e non dettato totalmente dalle idee altrui.

La domanda è : tutto ciò è utile e può servire a chi ha già realizzato tutto quello che importa nella vita, una famiglia dei figli, un lavoro (anche se non molto gratificante). La risposta è intrinseca all’interno di altre risposte :

Siamo veramente realizzati, tutto ciò che cerchiamo è quello che abbiamo cercato trovato ed avuto ?

Non è che un momento la vita, un momento che andrebbe vissuto il più intensamente possibile, goderla in ogni sua parte e capirla, ma non con superficialità, bensì con coscienza, ascoltando con attenzione quello che ha da dirti, prima con il cuore per gustarne il nettare poi con la mente per apprendere pienamente i suoi segreti e poter dire, Dio esiste ma non perché me l’hanno detto, perché l’ho visto dentro me stessa e dentro agli occhi di chi ho di fronte.

Dio non può essere semplicemente ciò che viene tramandato dalle varie religioni, siamo noi i Profeti della vita e Dio è la vita. Dio siamo noi nel momento in cui proviamo la felicità mentre sprizziamo energia attraverso un sorriso. Non aver paura di amare, non nasconderti dietro questa paura. Posso capire quanto sia difficile per te, se ciò che penso è vero molto più di quanto lo sia per me. Per me è difficile invece starmene zitto non dire ciò che sento dentro, ciò che provo in particolari momenti. Mi è difficile anche dire queste cose nella consapevolezza di una situazione difficile, nella chiara sensazione che prova il detenuto di un carcere con le sbarre volte su un collegio femminile. È difficile lo ammetto, ma per me sarebbe molto più difficile il contrario. Quando non hai qualcosa che ha un altro e non lo sai puoi farne a meno, ma se assaggi un dolce veramente gustoso quando non puoi averlo più, allora stai male veramente. Comunque io scrivo per dare ad altri l’opportunità di capire anche se vagamente la mia realtà, forse l’unico modo per rendere l’idea di ciò è per me dovrei trasformare queste parole in musica, in una melodia le cui note armonizzate nel giusto modo danno quelle sensazioni che fanno venire i brividi alla schiena mettendoti in testa quella voglia di cantare, di lasciarsi andare.

Questo è solo una piccola parte di ciò che vorrei dire, ma sono pochi i momenti in cui ci si trova in stati mentali ispirati e le parole scivolano sulle dita. Non siamo mai maturi, non finchè non troveremo la pace nelle nostre azioni, una pace che provenga dal nostro io e non da un "hai fatto ciò che era giusto", perché non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ma ciò che io ritengo giusto e che tu riterrai alla tua maniera.

martedì 16 aprile 2013

La piantina e il carceriere (favola)

C’erano una volta due semini che venivano felicemente trasportati dal soffio lieve del vento verso chissà quale destino ma erano felici perché sapevano che quando il vento si sarebbe fermato sarebbero stati posati dolcemente al suolo uno accanto all’altra poiché quella era la loro natura e da ciò dipendeva la loro felicità.

Vagando e vagando parlavano di tutto ciò che di bello poteva loro capitare e tra loro c’era un tacito intendimento che li legava e li trascinava nel turbine della loro esistenza come se tutto fosse il sogno di un Dio che li guidava dall’alto.

Ma fu così che un giorno il vento che per tanta strada li aveva librati ora si trovò senza forza e li lasciò cadere a terra e come promesso si trovarono a poca distanza l’uno dall’altra, capirono di trovarsi vicino ad una casa di campagna e ne furono felici perché crescendo lì avrebbero potuto rendere felice nel loro germogliare gli esseri tutti che passavano, alla loro vista uccellini, cani, gatti ed esseri umani avrebbero potuto godere della meraviglia della natura e del profumo che emanavano.

Così iniziarono a crescere e crebbero e crebbero fino a divenire adulti abbastanza da capire quali fossero i piaceri della vita ed a poterne godere in pace sempre assieme, ma proprio allora successe qualcosa che non avevano previsto, un uomo che abitava nella casa lì vicino addocchiò Lei e reputò che essa era troppo bella perché non dovesse diventare sua per sempre.

Quest’uomo incoscientemente nel suo egoismo aveva deciso che altri non avrebbero dovuto godere di ciò che oramai gli apparteneva, così la estrasse dal terreno con delicatezza dicendole parole dolci e donandole carezze, tanto che lì per lì Lei ne fu felice e venne pervasa da un senso d’amore per colui che la trattava con tanto sentimento e sicuramente il sentimento era vero ma tanto vero quanto l’incoscienza di quei suoi gesti.

L’uomo la portò all’interno del suo giardino scavò una piccola buca e vi adagiò Lei all’interno, ne ricoprì le radici con la terra e le diede da bere.

Per qualche tempo Lei fu molto felice di quella situazione, tanto che si era dimenticata del suo compagno, degli animali e delle persone che al di fuori del recinto di quella casa l’avevano venerata ed amata come qualcosa di unico di importante, come il prezioso attimo di tempo che la vita concede alla più breve esistenza.

Passata questa infatuazione ella cominciò a riflettere ed iniziò a capire che ciò che veramente importava era fuori da quelle mura, i suoi amici la sua libertà la sua stessa essenza erano al di là della griglia ma nulla poteva fare per superarla e tornare alla vita.

Fu per ciò che inizio a capire che era stata raggirata da quel suo amato carceriere, egli l’aveva rapita alla vita con l’inganno e l’aveva fatta sua per sempre ma perché ?

Mentre il tempo passava cominciò a capirne il motivo dal fatto che pian piano attorno a Lei erano state piantate altri germogli e tutti avevano un denominatore comune la bellezza.

Fu così che decise che l’unica cosa da fare per poter uscire da quella situazione era quella di non essere più così appariscente agli occhi del suo carceriere che così l’avrebbe allontanata dal proprio giardino.

Non bevve più l’acqua che le veniva offerta fino a che cominciò ad appassire cosichè ciò che aveva previsto si avverò, il carceriere estirpò Lei dal terreno e la cacciò al di là della staccionata che per troppo tempo l’aveva rinchiusa fuori dalla vita, cadde a terra con violenza e svenne.

Pian piano poco tempo dopo aprì gli occhi e nella visione che le pervase la vista non trovò ciò che aveva sperato, non c’erano più gli uccellini i gatti i cani e gli esseri umani ad amarla poiché non avevano più avuto motivo di passare di lì ma più di tutto la colpì l’orrore di ciò che aveva a fianco, il suo vecchio compagno di viaggio colui che più di tutti l’avrebbe potuta rendere felice giaceva a terra più mal ridotto di Lei, senza neppure la forza di parlare, solo un sorriso che le fece capire quanto più importante sia il breve attimo di tempo in cui si vive in cui la coscienza è pregna di vita e quanto poco possa valere il passato e il futuro così lontani entrambi dalla realtà dell’esistenza di qualunque essere vivente.

A quel sorriso Ella rispose con un altrettanto raggiante sorriso che nonostante tutto la rese bella come un tempo era stata mentre una lacrima lambiva il suo stelo testimoniando l’errore più grande in cui si possa incappare, quello di non vivere il momento ma vivendo il futuro che mai sarà raggiunto.

lunedì 15 aprile 2013

Trovarsi perduti



Non ricordo per quale motivo ci trovammo in quella situazione, ricordo solo che fuggivamo, una fuga al limite dell'infarto, scappando dalle nostre paure, l'auto ruggiva come un animale ferito, facendo intuire però che l’agonia sarebbe durata ancora per poco, il serbatoio del carburante era oramai un arido deserto.
Il buio della sera lasciava solo intravedere l’ ombrosa sagoma degli alberi che, come in una penosa raffigurazioni infernale, minacciosi nella loro imponenza, sembravano volerci avvolgere con i loro rami.tesi come braccia verso un cielo scuro, ove qua e la pallide stelle cercavano senza riuscirvi di dipingere la notte.
Se l'auto si fosse fermata ci saremmo trovati senza luci ed i nostri inseguitori avrebbero auto la possibilità di raggiungerci, e nessuno allora avrebbe potuto aiutarci.
Eravamo proprio messi bene, inconsapevoli del destino cui andavamo incontro, sempre più avanti, sempre più spaventati, sempre meno consapevoli del motivo.
Ad un certo punto intravvedemmo una luce fievole, sottile come una candela, tremolante nel sottile soffio di vento che dava sollievo alla calura estiva.
Sperammo di essere arrivati alla fine dell'incubo che ci perseguitava, la luce illuminava l'uscio di una casetta, non sembrava essere molto grande per ciò che si poteva vedere all'esterno, però avrebbe potuto essere un'accogliente rifugio dove passare quella dannata notte.
Forse la forma, forse il colore o chissà cos’altro, ma quella casetta riusciva ad infonderci un senso di sicurezza anche se avevamo la consapevolezza che se i nostri inseguitori ci avessero trovato non si sarebbero certo fermati di fronte ad una sottile porta di legno.
Comunque la nostra unica prospettiva era quella di entrare e sperare che le nostre paura fossero passate oltre e non si fossero accorte dell'esistenza della casa.
Di fronte all’usci Flick cercò di forze la porta, e fu in quel momento che provai per la prima volta quella strana sensazione, una repulsione, come se qualcuno o qualcosa cercasse di respingermi, di avvertirmi di qualcosa, ma cercai di non farci caso, attribuendo ciò alla mia immaginazione, stimolata dalla situazione, come se il mio inconscio stesse giocando con le sue paure.
Flick riuscì a forzare la porta e con falsa spavalderia, nel tentativo di esorcizzare le proprie paure mi chiese se volessi entrare per primo, lasciai comunque a lui l'onore del primo passo, non ero mai stato un eroe, tantomeno lo sarei diventato in quelle circostanze.
Il cigolio di quella porta mentre si apriva mi portò alla mente l’immagine di Igor il maggiordomo del castello di Frankenstein quando si affacciava all’uscio per far entrare gli ospiti nel castello.
L ' ingresso fu una sorpresa, sembrava uno sgabuzzino sigillato, di fronte un muro ci sbarrava la strada, da lì di sicuro non saremmo potuti entrare.
Sopra uno scaffale si trovava un pò di tutto, da attrezzature subacquee ad oggetti per la pulizia e tutto ciò che si può trovare in un tipico sgabuzzino, Flick allungò il braccio verso un fucile a molla arrugginito per vedere se avesse ancora la sua funzionalità, se avesse funzionato sarebbe stato utile nel caso i nostri inseguitori ci avessero raggiunto, ma quando sfiorò il muro successe qualcosa di veramente straordinario, la parete si allontanò da lui come per far posto verso l'interno, in un movimento fluido morbido e silenzioso, come se la parete stessa fosse fatta d’acqua.
E più Flick cercava di toccare la parete più la stessa si ritirava.
Ci guardammo negli occhi stupiti e decidemmo di andare avanti per scoprire fino a che punto si sarebbe ritirata la parete anche se le leggi della fisica erano state completamente byppassate e la logica avrebbe imposto una categorica e strategica fuga.
Feci segno anche a Erica, Ele e Riba di seguirci le quali titubanti e piene di consigli sul metodo migliore per lasciar perdere, ci seguirono come cagnolini che abbaiando al cane più grande indietreggiano.
Mentre Flick avanzava, nell' appoggiarmi alla parete alla mia sinistra palpai qualcosa di freddo e viscido, un brivido mi corse su per la schiena assieme ad una sensazione di disgusto, mi allontanai prontamente con una spinta a fuggire che dal ventre scorse fino alle gambe, ma il mio senso della realtà prevalse e mi stoppai.
Guardando a terra vidi ciò che avevo toccato, era solo un povero Geco, un animaletto simile ad una lucertola, solo piú piatto, null' altro che la evoluzione nei secoli di un piccolo dinosauro.
Vidi però qualcosa di strano, mi avvicinai per vedere meglio, ma se non lo avessi fatto sarebbe stato molto meglio il piccolo dinosauro non era completo, gli mancavano delle parti, pensai di esserne stato la causa appoggiandomici sopra, credetti di averlo ucciso e cercai di muoverlo, ma alla vista del mio movimento si mosse per scappare, era la seconda stranezza della giornata, il povero Geco non era affatto morto anzi non era neppure ferito era semplicemente incompleto, ma non nel senso comune della parola, non che gli mancasse un arto o la coda niente di tutto ció, era come a chiazze di realtà, in alcune parti era normale in altre era come inconsistente, praticamente mancava il tessuto organico, per farla breve in alcuni punti ci si vedeva attraverso.
Il fatto cancelló il mio ultimo legame con la reatá, la quale momentaneamente, si sbricioló ai miei occhi e mi face sobbalzare avanti verso Flick a ció seguirono le conseguenti logiche grida delle ragazze che si gettarono le une sulle altre in un' apoteosi di isterica follia.
Cercammo di calmarci ed una volta riusciti iniziammo a visitare la casa spostandoci in lungo e in largo, ovunque andassimo c'era una nuova stanza da visitare e un'altra e un'altra e un'altra ancora, sembrava non ci fossero limiti, i muri continuavano ad adeguarsi al nostro procedere, non mai una stanza nella quale fossimo già stati, provammo ad entrare tutti in una stanza ed uscire immediatamente dalla stessa porta e credemmo di trovarci in una specie di incubo collettivo, un'illusione dalla quale sarebbe bastato svegliarsi per ritrovarsi nella propria quotidianità, o perlomeno qualcosa di umanamente comprensibile, invece i pizzicotti ci confermarono la reale consistenza dei nostri corpi in quella strana realtá, se di realtá si trattava.
Ma che razza di realtá poteva trasformare una finita casetta in uno spazio infinito o comunque uno spazio maggiore all'interno che all'esterno ?
Cercammo di lasciare le domande a più tardi, a quando avessimo ritrovato l' uscita, anzi a quando dopo aver trovato l' uscita ci fossimo liberati anche dei nostri inseguitori, intuendo giá in anticipo che comunque non ci sarebbero state risposte possibili.
Tutte le porte che avevamo trovato erano tutte simili e non avevano opposto alcuna resistenza ai nostri tentativi di aprirle, fino a che ne trovammo una molto diversa dalle altre, nella forma e nei colori, una porta speciale con su incise quelle che ad occhio potevano apparire come frasi, ma i caratteri erano strani e incomprensibili, simili ad antichi ideogrammi egizi.
Non si capiva cosa c'era scritto ma si percepiva una strana sensazione, come un avvertimento, una forza invisibile che cercava di non farci avvicinare.
La voglia di indagare era molto forte, ma molto di più lo era la paura che scivolano lungo le nostre schiene imbrividite, che ci fece esimere dall’ indugiare oltre li di fronte, ci volgemmo verso la porta che si trovava nella parete opposta, quella dalla quale eravamo entrati e da quella uscimmo.
Ci trovammo a quel punto in un grande salone con un tavolo ovale molto grande, illuminato da sei candelabri appesi alle pareti, attorno al tavolo c'erano cinque sedie di legno e bronzo, molto grandi, con spalliere alte e lavorate, sembravano dei troni, quadri di varie dimensioni adornava le pareti, il tutto in stile barocco ma con accenni ad un'era molto precedente e molto cupa.
Decidemmo di sederci, nonostante la riluttanza generale, consapevoli che continuando ad andare avanti non ci avrebbe portato a nulla, avevamo tutti bisogno di riposarci e di schiarirci le idee, condividendo le nostre sensazioni, cercando di decidere sul da farsi, senza andare avanti in maniera casuale.
Erica ci fece notare come tutto sembrava perfettamente preparato nei minimi particolari, tanto per cominciare i candelabri erano tutti accesi tra l'altro da poco, in quanto le candele non erano per nulla consumate, i troni erano nel giusto numero per farci sedere tutti ne uno di piú ne uno di meno, poi cosa a cui nessuno aveva fatto caso fino a quel momento era tutto apparecchiato come se il nostro ospite avesse saputo l'ordine giusto nel quale ci saremmo disposti a tavola.
Infatti tutti avevamo il bicchiere dell'acqua e quello del vino tranne Ele, che come tutti noi sapevamo era astemmia e dulcis in fundus, a Riba e solo a lei erano state invertite le posate d'argento perché era mancina.
Dopo esserci stupiti per la capacitá di osservazione di Erica, decidemmo che poiché ci eravamo persi e trovandoci momentaneamente al sicuro dai nostri inseguitori, l'unica cosa da fare era cercare di assecondare la situazione, sedendoci e mangiando qualcosa, riposarsi un pó.
Del resto cos'altro avremmo potuto fare in una situazione cosí illogica, avremmo pensato sul da farsi durante e dopo la cena.
Non ci si poteva certo lamentare di non essere trattati bene, la tavola era ricolma di succulenti pietanze ed i vini erano certamente senza prezzo dato che il loro era chiaramente di parecchi anni.
Tutto questo ben di Dio ci diede un minimo di tranquillità, perché pensammo che se tutto ció era stato organizzato con tanta cura per noi, probabilmente non poteva il nostro ospite, chiunque fosse, volerci fare del male.
Cosí mangiammo come mai avevamo mangiato in vita nostra, in modo che se quella fosse stata la nostra ultima cena sarebbe stata la migliore di tutte.
Durante la cena discutemmo molto, ed alla fine continuammo a discutere, nessun ragionamento logico poteva essere adeguato al momento e non uscì nessuna idea che potesse aiutarci ad uscire di lì, solo ci pentimmo di non essere rimasti davanti alla porta diversa, per provare a decifrare il significato dei versi incisi sopra, in fondo era l’unica anomalia nell’anomalia.
Alla fine ci ponemmo la questione del dormire, infatti non potevamo certo sceglierci una stanza a testa, potevamo solo cercarne una abbastanza grande per accoglierci tutti assieme (altrimenti se ci fossimo divisi non ci saremmo piú ritrovati), possibilmente fornita di letti o per lo meno di qualcosa su cui stenderci.
Ci incamminammo verso la porta, ma un' attimo prima di inoltrarci in essa, la perspicacia di Erica colpí di nuovo nel segno, ci fece infatti notare un' altra stranezza, i quadri alle pareti raffiguravano quella stessa stanza, con noi seduti a tavola nella stessa posizione in cui eravamo stati fino a poco prima, ed ogni quadro rappresentava un angolazione diversa, quella cioé che avrebbe notato un' osservatore posizionato al posto del quadro, era il punto di vista del quadro, un' istantanea scattata da varie angolazioni, ma eseguita con il pennello giá molto prima della nostra venuta.
Il turbamento tornó in ognuno di noi con rinnovato vigore e con i brividi sulla schiena uscimmo da quel tetro teatro di cui noi stessi eravavo stati gli attori.
Nell’uscire da quell’ultima porta tutto iniziò ad aumentare in velocità, il tempo e lo spazio ebbero dei mutamenti incomprensibili, iniziai a sentirmi risucchiato verso l’alto, come se venissi tirato e allungato da forze diverse, sotto mi sentivo trattenere, i miei tessuti si gonfiavano come per contrariare le forze in gioco, ma nulla sembrava potessi fare coscientemente.
Tutto ad un tratto una forte luce davanti a me, poi buoi, poi di nuovo luce fino ad un forte colpo alla testa …….
…… A quel punto la realtà sembrava essere tornata al suo posto, con molta difficoltà mi guardai attorno, cercando di capire dove fossi finito, pia piano mi resi conto di essere tornato al mio mondo, le pareti erano quelle di camera mia e gli oggetti sui mobili erano familiari.
Con fatica mi alzai, le gambe mi tramavano ancora, la confusione stava passando, allora provai a me stesso la normalità uscendo dalla porta e tornando indietro con titubanza.
Tutto era normale, era solo stato un sogno, non ho avuto nessuna risposta diretta da esso, ma dalla situazione illogica e dal fatto di aver lasciato alcune cose sospese, come la porta diversa dalle altre, ho capito che la vita stessa potrebbe essere solo un sogno, qualcosa di non comprensibile nella sua intima essenza.
Il fatto di non aver finito il sogno e di esserne uscito di colpo, sembra essere un chiaro monito alla non indispensabilità dell’uomo per l’esistenza, ma anche del fine stesso dell’universo.
Questo non vuol dire che sia tutto inutile, ne si può dare risposte all’esistenza di Dio, solo, si deve ammettere che la nostra comprensione è veramente piccola di fronte alla vita.

C’erano una volta gli imperi

 
Imperi
 
C‘era una volta un grande impero, suddiviso in alcuni regni di media grandezza a loro volta, divisi in tanti piccoli feudi.

Ognuno di essi veniva gestito da un signorotto in maniera autonoma ma seguendo le linee guida che provenivano dall’alto.

Tra i tanti ne esisteva uno che si era auto trasformato in uno staterello democratico fondato sull’intelligenza e che come tale oltre a generare il prodotto che serviva ad alimentare l’impero, produceva un enorme plus valore sotto forma di conoscenza, capacità e allegria oltre ad uno spirito di partecipazione piuttosto che di competizione.
Tale plus valore veniva poi reinvestito nella produzione di idee che reinventavano il ciclo dal quale erano state generate.

Il signorotto del posto non dava ordini ma suggerimenti, non sforzava la popolazione a lavorare ma li punzecchiava, aiutandoli quando necessario e quando ne aveva bisogno chiedeva loro aiuto.

Un giorno un feudatario senza feudo chiese aiuto ad un regnante il quale con l’aiuto dell’imperatore impose che tale feudatario sfeudato venisse fornito di un feudo, che però al momento non era disponibile, allora si pensò che fosse giusto dare al nobile l’unico feudo gestito da un liberto.

E così fu !

Fu che il piccolo stato democratico fondato sull’intelligenza si trasformò in un regno fondato sull’ignoranza e sulla presunzione dove l’unico obbiettivo è diventato il prestigio di qualcuno, dove lo spirito di partecipazione è diventato confusione generale, dove non si produce altro che entropia e dove lo scontento ha cancellato il plus valore.

Una piccola oasi felice è stata resa sterile solo e come sempre per mafioseria …
Un vanto dell’impero, un peso per la collettività

Auguro alla plebe di non trovarsi in un luogo di sterpaglie in cui non si trovi neppure un filo d’erba da brucare.

lunedì 8 aprile 2013

Il grande BLUFF !

 

Tutti noi, indistintamente, ogni giorno della nostra vita
giochiamo una partita a poker.

Ogni giorno, abbiamo le nostre cinque carte in mano, chi le ha migliori, chi peggiori,
ma tutti abbiamo la possibilità di vincere o la sfortuna di perdere.

Nessuno è escluso da questo gioco. E chi perde oggi potrebbe rifarsi domani.

E fino a che c'è una nuova mano da giocare, un giro, il prossimo giro
nessno fa troppo caso all'importanza di queste carte.

A volte però, per alcune sfortunate persone, il giro successivo è diverso,
il mazziere, cambia le regole del gioco, le carte in tavola non sono più le stesse,
la mano da giocare è completamente diversa.

Ci si ritrova a giocare una partita diversa dal solito.

Il mazziere questa volta, dà si, le carte, ma barando.

Consegna ancora a tutti le cinque carte in maniera casuale, ma a quella persona dà solo una carta,

IL DUE DI PICCHE !

Lo sfortunato giocatore allora si trova di fronte a due possibilità :

La prima è quella di non giocare, di lasciarsi andare !
Una sconfitta sicura nella rassegnazione !

La seconda è quella di continuare a giocare, contro ogni possibilità, cambiando lui stesso le regole del gioco,
nella consapevolezza di non avere altro da fare, che provare e credere nel suo più grande BLUFF, per provare a vincere la partita più importante.

La partita della Vita!

@DaniloMorchio

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